domenica 5 luglio 2009

Prendimi con te di Paul Desalmand


Che dire?
Librino esile, che si legge velocemente e lascia insoddisfatti, benché vi siano delle pagini godibili, non prive di arguzia e delicatezza.
Nel capitolo dedicato ai clienti che vengono in libreria e chiedono assurdità (come 'La principessa di Crêpes' o un'edizione del XVIII secolo di 'Madame Bovary'), ho ritrovato la mia esperienza (anni e anni fa) di commessa in una libreria, quando, per esempio, mi ritrovai davanti un ragazzo che cercava 'I dolori del giovane Walter' e il cui padre, evidentemente poco contento del fatto che il figlio perdesse tempo leggendo (o quanto meno, ci provasse...), lo spingeva piuttosto a chiedermi il numero di telefono.
Bello il ritratto di alcuni librai appassionati, come il Pierre Landry di Tulle che è 'Un libraio che legge e non un libraio che si accontenta di contare', e crea intorno a sé un piccolo centro culturale, sfidando le dure leggi della domanda e dell'offerta, o quello della libreria dell'usato di rue Duhesme, che si stupisce quando qualcuno gli chiede se legga, come se gli fosse stato chiesto se respiri o mangi.
Bello anche (benché certo non brilli per originalità) il confronto tra l'innamoramento e l'incontro con un libro che cambia la vita, anzi, che più spesso ci restituisce alla vita, con nuovo slancio, nuova curiosità, nuove energie.
Nonostante questi momenti di grazia, però, la lettura non trascina, non delizia, e si resta con la sensazione che si tratti di un'operazione editoriale furbastra e sdolcinata. Peccato.
"Il mistero più grande non è che siamo usciti per caso dalla profusione della materia e degli astri, ma è che, chiusi in questa prigione, traiamo da noi stessi immagini abbastanza potenti da negare il nostro nulla. E più ancora delle immagini, libri innumerevoli a testimoniare che l'uomo è più grande di ciò che lo schiaccia".

Paul Desalmand, Prendimi con te. Vita avventurosa di un libro giramondo, Piemme, Casale Monferrato 2009. Traduzione di Maria Moresco.

venerdì 3 luglio 2009

L'animale morente di Philip Roth


Scrivevo ieri alla mia amica Sandra che avevo iniziato a leggere questo libro a letto, l'altra sera, con gli occhi semichiusi dalla stanchezza. Dopo cinque minuti ero sveglia come un grillo, avrei potuto andare avanti per almeno un'altra ora e mezzo, e forse anche di più.

Sempre a Sandra scrivevo che se Roth assomiglia anche lontanamente al suo David Keplesh deve essere un uomo che delle donne fa strame, così ossessionato dalla bellezza femminile, così schiavo della propria sensualità e insieme così distaccato e chirurgico nell'analisi delle proprie pulsioni. Da mettere letteralmente i brividi.

Questo è il suo secondo libro che leggo e l'effetto che mi fa ogni volta è dirompente. Ne sono letteralmente ipnotizzata, completamente conquistata. La forza del suo stile diretto, intenso, e la complessità dell'analisi che affida alle parole richiedono una concentrazione assoluta, ma offrono in cambio istanti di puro rapimento.

Non dirò nulla della storia, che è una storia in fondo come tante (quella di un'ossessione sessuale di un uomo avanti con gli anni per una ragazza giovane e di una bellezza numinosa e assoluta), benché con una chiusura tragica e a sorpresa.

E' difficile, però, anche solo rendere conto di tutte le sollecitazioni che Roth offre in questo romanzo, che per numero, qualità e intensità danno le vertigini, se si considera che sono concentrate in appena 113 pagine: riflessioni e analisi sulla rivoluzione sessuale, la paternità, la musica, la situazione cubana, tanto per citarne alcune. Il consueto ottovolante su cui Roth fa sedere il suo lettore.

Certo, non mi risulta facile leggere questo autore, perché è troppo sincero, troppo brutale, a tratti francamente disturbing, direbbero gli inglesi; questo suo mettere a nudo i meccanismi a volte sottili, a volte grevi, sempre primitivi, illogici, ancestrali della sessualità maschile e femminile, facendolo nel modo meno mediato, meno 'politically correct' che si possa immaginare, con una rude ma anche 'rinfrescante' mancanza di pruderie e giri di parole, e spesso con un'ironia graffiante e irresistibile, è sempre l'equivalente di un pugno nello stomaco: molto stimolante, sempre salutare, ma estremamente sconcertante.

Non manca, in questo romanzo, anche qualche barlume di intensa commozione, quando Roth dà una voce sincera e potente a quel sentimento sublime che è la vera pietà per la sofferenza umana e per la paura della morte, per l'impossibilità di difendersi dall'apparente gratuità di certi eventi e per la fragilità del corpo e della sua bellezza, destinata a sfiorire, sempre, e a volte ad essere falciata crudelmente dalla malattia.

L'animale morente cui il titolo fa riferimento siamo, come al solito, tutti noi.


Philip Roth, L'animale morente, Einaudi, Torino 2002. Traduzione di Vincenzo Mantovani.


giovedì 2 luglio 2009

Mes secrets pour garder la ligne... sans régime di Julie Andrieu


Niente che non si sapesse già (non saltare la colazione, mangiare poco ma di tutto, non rinunciare ai condimenti ma usarli con parsimonia, concedersi una tantum qualche sfizio per non intristirsi ed abboffarsi, poi, alla prima occasione, di qualche immonda schifezza ipercalorica), ma documentato, scritto con chiarezza, e da qualcuno che sembra davvero avere una grande,autentica passione per la cucina.

Alcune idee, dettate un po' dall'ironia un po' dalla furbizia, per non cedere alle tentazioni quando si va a casa di amici che cercano di dissuaderci dai nostri buoni propositi (un po' perché è giusto, 'vieni a casa mia a mangiare e pilucchi'... un po' perché quando si cerca di stare attenti a ciò che si mangia, spesso si fa sentire in colpa chi non ci sta e dunque si è oggetto di tentativi di 'traviamento') e tutta una sezione dedicata ai ristoranti etnici, ai piatti meno 'esiziali' da scegliere nel menu.

Più che altro, discorsi dettati dal buon senso (ma scritti da una fanciulla di una bellezza imbarazzante, che si fa fatica ad immaginare sia stata alle prese con i chili di troppo. Ma se lo dice lei, chi siamo noi per non crederle?...).

Come bonus, qualche ricetta che pare azzeccata.


Julie Andrieu, Mes secrets pour garder la ligne... sans régime, Marabout, Paris 2007.

mercoledì 1 luglio 2009

Nel giardino del diavolo di Stewart Lee Allen


Un altro di quei libri che è partito con tutti i numeri perché io lo leggessi divorandomelo nella prima metà e poi centellinandomelo nella seconda, per procrastinare il più possibile il momento in cui sarei arrivata alla sua ultima pagina.
Invece, niente. L'ho letto svogliatamente, solo di rado godendomi le spigolature raccontate dall'autore.
Non so bene a cosa attribuire il mio scarso entusiasmo. Forse al fatto che alla fine il libro risulta essere un affastellarsi, spesso poco coeso, di notiziole, aneddoti, curiosità che si ammassano l'una sull'altra, lasciando di sé debolissime tracce nella memoria (quanto meno nella mia, che non è delle migliori, va detto per onestà).
Di circa 294 pagine di libro, al momento, quel che mi è rimasto impresso è stata l'immagine di Verlaine che, nei fumi dell'assenzio, dà fuoco ai capelli della moglie.
Un po' poco...

Stewart Lee Allen, Nel giardino del diavolo. Storia lussuriosa dei cibi proibiti, Feltrinelli, Milano2007. Traduzione di Maurizio Migliaccio