mercoledì 24 novembre 2010

Le poesie del mercoledì: abbozzo - Antonia Pozzi

La poesia di oggi l'ho letta una sera, prima di andare a dormire, in questa settimana trascorsa a Milano.

Era molto tardi e fuori pioveva; la casa era immersa nel silenzio.

La lettura di questa poesia mi ha travolta.

Credo anche di averla sognata, quella notte.

Ho un ricordo vago di un buio denso e silenzioso, inquieto, vibrante di una disperata nostalgia, di qualche segreta, misteriosa, dolente attesa.

Sono stata a lungo indecisa se riportarne qui i versi.

Perché l'ultima è un'immagine potentissima e, credo, volutamente ambigua e disturbante nel suo richiamo ad un'intensa esperienza anche sessuale, oltre che sentimentale.

Ho trovato a lungo imbarazzante e fuori luogo condividere queste parole con altri, in uno spazio come questo, che vuole essere leggero e nasce conscio di tutti i suoi limiti: perché questi versi mi sembrano davvero troppo intensi, il segno marcato a fuoco di un desiderio e di uno strazio infiniti, di quelli che chiedono rispetto e silenzio, prima che comprensione.

Ma poi ho pensato che questa poesia esiste, è stata scritta, ed è sopravvissuta ad una storia triste di censure e distorsioni, arrivando infine fino a me, fino a voi.

L'autrice è Antonia Pozzi, una poetessa morta suicida a 26 anni, nel 1938.

Figlia diletta di due genitori colti e benestanti, visse nella Milano altoborghese e aristocratica e nella amatissima casa di montagna di famiglia, a Pasturo.

In prima liceo incontrò l'amore della sua vita, il suo professore di lettere.
L'amore che nacque tra i due fu fieramente osteggiato dai genitori di Antonia, che non ebbe la forza di difenderlo.
Piegandosi al volere soprattutto del padre, scegliendo di agire "non secondo il cuore, ma secondo il bene", Antonia, nel 1933, rinunciò per sempre alla sua "vita sognata".

Da allora ebbe altri amori, studiò, si laureò, scrisse poesie, si dedicò al volontariato, ebbe molte amiche; pur apparentemente conducendo la vita normalissima di qualunque giovane del suo tempo e del suo ambiente, Antonia continuò ad alimentare in sé una forte depressione che alla fine la spinse al suicidio.

La poesia che vi presento è un abbozzo.

Non riesco a immaginare che cosa le manchi, che cosa Antonia Pozzi volesse ancora esprimere attraverso queste parole. Quanta intensità e vita e sofferenza volesse veicolare ancora attraverso di esse.

È triste pensare che non lo saprò mai.


****


abbozzo

Io penso questa sera
alla leggende dell'Uccello di Fuoco -
al suo apparire nel folto -
al suo canto liberatore -

e tutti narrano
del giovane principe
e del sonno dei nemici
e della sua salvezza -

nessuno pensa all'albero oscuro
dove l'uccello apparì
la prima sera -
nessuno pensa alla vita dell'albero
dopo quella sera
senza più la vampa
delle ali magiche -

io sola so
come l'albero viva
di nostalgia e d'attesa -
e intorno veda
la gente che si aggira -
ma nessuna veste variopinta
vale per lui
lo splendore
dell'Uccello scomparso -

l'albero non sa più
per chi sia il suo fiorire -
e per ogni foglia che nasce
si torce nelle intime fibre -
l'albero non sa più
a chi offrire
il suo strazio primaverile -
e attende la notte -
la notte nera senza stelle senza fontane -
l'ora del buio silenzio -
quando dalle profonde radici
in un balenio estremo accecante
sorgerà correrà per il fusto
sino alla cima delle fronde
unico bene suo -
il ricordo infuocato dell'Uccello -

(marzo-agosto 1933)

5 commenti:

  1. Solo poche parole: hai fatto bene a non privarcene.
    Un abbraccio,

    wenny

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  2. Soltanto grazie .Qualsiasi altra parola mi sembrerebbe fuori luogo

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  3. che esperienza toccante, essere travolti, prima di dormire, da un sentimento astratto ma così forte da riuscire a spingersi oltre la linea del sonno, fino a quell'altro mondo che è quello dei sogni. ...
    anche io non aggiungo altro alla bellezza struggente di questa poesia e del racconto di questa tua sera-notte milanese.
    grazie, un abbraccio!

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  4. bellissima ! qualcosa mi fa ricordare Silvia Plath ...
    e le foto, quanto "charme" in quelle foto antiche in bianco e nero !

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  5. @ Wenny e Grazia: grazie. Sono contenta di aver vinto la mia titubanza.

    @ Tiziana: sì, è stata un'esperienza toccante e, a suo modo, anche piuttosto inquietante. Ma è bello sentire le parole di un altro essere umano, lontano nello spazio e nel tempo, tanto vicine a sé, non credi?

    @ Vera: hai ragione: l'intensità e lo strazio di questo desiderio ricordano quello della Plath. Quanto alle foto, condivido: hanno su di me sempre un richiamo irresistibile.

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