giovedì 26 gennaio 2012

Blogroll: Iris e libellule

Per la seconda puntata di questa rubrica ho pensato di intervistare Vitamina: il suo è uno dei blog più interessanti e vari e coinvolgenti che mi sia mai capitato di leggere.

Vitamina pubblica cronache del suo amatissimo giardino - luogo dell'anima prima che spazio fisico e naturale in cui vivere e lavorare - e poi riflessioni nate dall'attualità e dalle sue letture, storie della sua infanzia e della sua vita, e lo fa con grande generosità e spontaneità, suscitando in chi legge un naturale e insopprimibile sentimento di vicinanza, di confidenza e familiarità.

La sua è una voce che risuona sempre autentica, non importa quale sia il registro scelto per raccontare quel che vuole raccontare e questa non è una cosa così comune nel mondo della blogosfera: nessuna strizzatina d'occhio per compiacere o attirare potenziali lettori, nessuna posa artefatta. 
Vitamina è schietta, diretta, pragmatica, a volte brusca, ironica e con un senso dell'umorismo che spesso va a braccetto col sarcasmo; ma è anche romantica, incline a commuoversi, tormentata dai dubbi, malinconica, fragile. 
Vitamina, insomma - lo si sente con nettezza - è una persona vera, non un avatar. 

A commentare i suoi post, le bellissime foto di suo marito Mauro (che qui saluto e ringrazio).

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Una definizione del tuo blog
Ripostiglio dei pensieri. Autoterapia.

Perché hai cominciato a scriverlo: 
Perché scrivere mi piace molto, mi piace  anche fare giardino e orto; all'inizio ho unito le due cose, pensando di raccontare giardino, orto e vita in campagna. Poi mi è un pochino scappato di mano.

Quali sono stati i primi blog che hai letto: 
I primi in cui mi sono imbattuta erano blog pieni di fiocchi, cuori e ricette di cucina, ma molto noiosi, mi ero quasi scoraggiata. Poi ho trovato la Lara, la Papera, la Loretta del Roseto, Pontos, Falconelvento, il Furighedda Gardening, la Grazia, la Pia, Alberto, Mario, Gianni, Soffio, Ambra, Gio, Luisa, Ivo, Minerva e tutti gli altri e mi sono sentita a casa.

Un bel ricordo della tua vita da abitante della blogosfera: 
Quando Mariolino ha scritto in un commento, parlando dei modi di morire, che quando gelava il Po voleva fare come il nonno del "Piccolo grande uomo", sedersi ad aspettare la morte nel ghiaccio, per vedere se sull'altra sponda c'era Wakan Tanka o Wanda Osiris.

Te, oggi, in tre aggettivi: Sincera, malinconica, irrealizzata.

Te, bambina, in un ricordo o un'immagine: 
Una foto del '56, fatta dalla mia mamma, io ad un anno, seduta sulle ginocchia del mio babbo, nel suo studio, davanti alla macchina da scrivere Olivetti.

Il momento più felice della tua vita:
Quando è nata mia figlia Fiamma, senza togliere nulla alla seconda, ma era la prima volta, ho pianto per la felicità mezza giornata.

Il regalo più bello che hai ricevuto: 
Forse un anellino che mi regalò mio marito.

Il dono o il talento naturale che vorresti avere: 
Saper ballare.
 
Una persona che in qualche modo ti ha formato: 
Se posso, due: Don Sergio Carapelli e Silvano Zoi. In ordine di tempo; se di importanza, alla pari.


Libro dell'isola deserta:
Uno solo mai. Alcuni: La mia Africa, Lo Gnolo, Il signore degli anelli, Il monte analogo, Lo Zen e l'arte della manutenzione della motocicletta, Lessico famigliare. Almeno.

Canzone preferita: 
La mia figlia più piccola aveva fatto un cd che potessi ascoltare, qualche estate fa, andando al lavoro. C'era dentro una canzone che poi ho ritrovato proprio all'inizio de "Il Diavolo veste Prada ", mi piaceva un sacco.


Film culto: 
Tre: Avatar, L'uomo dei sogni , La meglio gioventù.

Un profumo: 
Adesso il calicanto.

Un oggetto:  
Non c'è.

L'ultima cena del condannato: 
Se si intende cosa mi piace di più mangiare non preferisco un cibo, ma sempre un insieme di cose, fra il cibo, la serenità del pasto, il luogo e la presentazione, l'insieme armonioso, e soprattutto non troppo abbondante, di cibi e sapori.
Come condannata a morte avrei lo stomaco stretto, non mangerei proprio niente .

Neanche con una pistola puntata alla tempia mangeresti:  
Lumache, ranocchie, insetti.

Nessuno può resisterti quando in cucina... 
Forse quando cucino certi ravioli. O i tortellini che ho fatto per Natale.

Nel tuo frigorifero non manca mai: 
Assortimento base, cioè uova, burro, yogurt (vari tipi, anche bianco), parmigiano, carote, verdura assortita, una marmellata aperta, vasetto di cren, senape. Ma moltissimo è fuori dal frigo, perché mangio molto "cucinato".

Momento del giorno prediletto: 
Dipende dalla stagione, adesso il mezzogiorno.

Un bel modo di morire: 
In pace (pace col mondo, accettando la morte).

Quando sei sovrappensiero (tic, gesti tipici)... 
Tirare i capelli e, purtroppo, mordere le unghie.

Dalla tua finestra:  
Il giardino, la campagna e la capanna da rifare.

Sulla tua scrivania: 
Portapenne, dizionario tascabile italiano/inglese, inglese/italiano, telefono, un sasso fermacarte che dipinsero i ragazzi della classe elementare della mia zia Anna che faceva la maestra a Ponte Buriano. Ma è il tavolino ad essere interessante, l'ho rivestito a découpage l'estate che chiusi il negozio: è dipinto di azzurro ed è coperto, lungo i lati, di fiori ritagliati dalla rivista "Giardini". Fra il poetico e il kitch, più poetico.

Sul tuo comodino: 
Una striscia di stoffa colorata fra fucsia e arancio e sopra una lampada, i libri che sto leggendo al momento, l'ultimo numero di Gardenia, un uccellino d'argento che fu la bomboniera del matrimonio di mio cugino, l'unica bomboniera che abbia mai conservato.

Nella tua borsa... 
Tanta confusione.

L'angolo della tua casa che ami di più: 
Ora mi piace quasi tutta, da quando ho ridipinto e tolto roba, quest'estate.

Il viaggio dei tuoi sogni: 
Uno qualunque, sono anni che non faccio un viaggio; preferirei un viaggio a piedi.

Da grande avresti fatto (ovvero sia: il lavoro che volevi fare da bambina): 
Non mi ricordo più, forse la sarta e la ballerina. Mia figlia grande, da piccola, ci fece tanto ridere, voleva fare la spogliarellista.

Da grande farai (ovvero sia: il lavoro che vorresti fare oggi, indipendentemente da considerazioni pratiche, realistiche ed economiche): 
Giardiniere e medico, alternati.

Il tuo motto (se ne hai uno):  
Chiamato o non chiamato, Dio sarà presente.


giovedì 19 gennaio 2012

Di manie, di libri e di una minestra di lenticchie e latte di cocco

Durante questo primo mese del nuovo anno sono stata colta da uno dei più virulenti attacchi di shopping librario che la storia ricordi.

Che io acquisti molti libri è cosa risaputa: chi mi conosce bene sa che si tratta di un'attività cui amo dedicarmi spesso e volentieri, anche se generalmente mi  mantengo nell'ambito della decenza e della ragionevolezza (e sa il cielo quanto mi costi farlo).

Ci sono però dei momenti (per fortuna pochi) in cui la decenza e la ragionevolezza non so nemmeno dove siano di casa: il risultato può essere, come in questo mese, una lunga serie di massicci acquisti  di libri, usati e non, di solito su internet, che mi vengono poi consegnati dal postino, ogni giorno più attonito - ed esausto.

Quando suona il citofono, più o meno intorno a mezzogiorno, so che è arrivato qualche pacco per me, o meglio, qualche "plico", come dice lui. Mi avvisa ogni volta che ce n'è uno, forse perché teme che, lasciandolo lì incustodito, possa essere oggetto di concupiscenza da parte di altri condomini.

Come che sia, quando rispondo al citofono e sento la nota voce annunciare, con la sua leggera inflessione meridionale "Sono il postino, le lascio un plico", non c'è niente da fare, mi sale un'eccitazione irrefrenabile.
Quando poi, come qualche giorno fa, mi sento dire "Sono il postino, le lascio dei plichi", arrivo a dei livelli di frenesia incommentabili.

La Spia mi prende bonariamente in giro per questa mia mania, forse uno dei tratti più eccentrici e insieme più caratteristici della mia persona: ogni tanto, però, si preoccupa, e oppone deboli obiezioni, del tipo "Ma come farai a leggerli tutti?" oppure "Ma dove li mettiamo?" o anche "Ma quando per il peso della libreria sprofonderemo nell'appartamento di sotto come ci giustificheremo?".

Per lo più, però, è rassegnato - e da anni: ha capito da tempo che non è in suo potere fare alcunché che possa dissuadermi dall'acquistare libri. 
E se lo conosco bene scommetto che, insieme alla rassegnazione, in lui si faccia spesso largo anche un certo sollievo: e se invece dei libri avessi amato comprare cellulari o scarpe di Manolo Blahnik?

Tra i miei ultimi acquisti, un altro ricettario delle edizioni Terra Nuova, Cucinare i legumi, di Rosanna Passione, dal quale ho tratto questa minestra di lenticchie di ispirazione indiana: a me piace moltissimo (ma io non faccio testo: ho una grande passione per il latte di cocco e le spezie).

Vi avevo preannunciato una serie di sbrode, giusto? (e mi sembrava che ne foste anche contenti). E allora che sbrode siano!

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Zuppa di lenticchie simil indiana

(per 2 persone)

150 gr di lenticchie rosse
1 cucchiaio di semi di senape nera (io l'avevo, per puro caso; ora che non l'ho più mi chiedo se possa andare bene anche la senape chiara; sono benaccetti consigli e suggerimenti)
1/2 cucchiaino di semi di finocchio (fondamentale; non so spiegarvi perché, ma è un aroma fondamentale in questa zuppa)
1/2 cucchiaino di semi di cumino
1-2 cucchiai d'olio extravergine di oliva
1 generosa grattugiata di zenzero (nella versione originale: 1 cucchiaio di zenzero fresco tritato; io non ne avevo e ho usato lo zenzero intero - ma secco - del commercio equo, che ho grattugiato come fosse una noce moscata)
1 pizzico di peperoncino (a gusto; io non ho esagerato)
250-350 ml di acqua (vedi dopo)
1 cipolla a dadini
200 ml di latte di cocco
200 ml di passata di pomodoro (nella versione originale: 200 gr pomodori pelati)
2 cucchiai di cocco grattugiato

Nella pentola dove poi cuocerete la zuppa fate saltare nell'olio i semi di senape, quelli di finocchio e quelli di cumino, finché non scoppiettano.

Aggiungete poi la cipolla a dadini, lo zenzero e il peperoncino e cuocete fino a quando la cipolla non sia appassita.

A questo punto aggiungete l'acqua, il latte di cocco e la passata di pomodoro e appena raggiunto il bollore anche le lenticchie e il cocco grattugiato.

Abbassate il fuoco e fate sobbollire per circa 20': le lenticchie si saranno sfatte quasi del tutto.

Per quanto riguarda il sale, le scuole di pensiero sono diverse: quando si tratta di legumi c'è chi lo aggiunge quasi a fine cottura e c'è chi invece lo mette all'inizio. 

Io, che spesso sono distratta, la prima volta l'ho messo alla fine (me n'ero dimenticata), e non mi sembra che il risultato ne abbia risentito; altre volte, invece, l'ho messo all'inizio, insieme alla cipolla (una cosa che faccio spesso, quella di salare la cipolla, perché pare che il sale, facendola "sudare", eviti alle cuoche distratte di bruciarla) e anche così la zuppa è venuta buona lo stesso.

Comunque, assaggiate e se è il caso aggiustate di sale.

Se la zuppa ha una consistenza troppo sostenuta per voi, potete aggiungere, come ho fatto io qualche volta, un miscuglio di acqua calda, passata e un paio di cucchiai di latte di cocco (circa 100 ml in tutto).

Enjoy!


mercoledì 11 gennaio 2012

La soavissima discordia dell'amore di Stefania Bertola

Leggere ogni tanto Stefania Bertola fa bene alla salute, di questo sono assolutamente certa.

Così come sono assolutamente certa del fatto che i suoi libri, pur essendo per lo più catalogati sotto l'irritante (almeno per me) etichetta di letteratura sentimentale - o sotto l'ancora più irritante sua versione inglese, chick lit - sono in realtà soprattutto dei bei libri umoristici, scritti con garbo, finezza e molta maestrìa.

Perché Stefania Bertola scrive bene e sarebbe ora di dirlo a chiare lettere, vincendo quel po' di remore snobistiche che impediscono a certi lettori forti e un po' fieri delle loro letture di ammettere che sì, forse esistono categorie letterarie di serie B - ma esistono? - che possono però essere frequentate da scrittori di tutto rispetto.

E quando uso l'aggettivo "umoristico" lo faccio perché in realtà non ne so trovare un altro più adatto che esprima efficacemente la frequenza e l'allarmante (per il coniuge che ascolta attonito) intensità delle risate incontrollabili e da orco che mi vengono quando leggo uno dei suoi libri - non tutti, ma questo in particolare mi ha regalato qualche ora di assoluta e perfetta letizia.

Detto ciò, penso che la Bertola - che è anche finissima traduttrice dall'inglese - abbia alle spalle solide letture e grande esperienza: i suoi non sono romanzi umoristici con una fragile impalcatura a far da quasi inesistente supporto a trovate sia pur irresistibilmente brillanti: alla lunga libri così annoiano, e i suoi non annoiano mai (almeno, io leggendoli non mi annoio mai).

Quel che trovo di miracoloso, nella Bertola, è infatti la capacità di costruire personaggi e storie assolutamente realistici e coerenti che all'improvviso fanno una sterzata netta verso l'imprevedibile e il surreale, e questo, ovviamente, genera l'effetto comico. Questa sterzata, però, non appare mai forzata: pur nella sorpresa è assolutamente in linea con tutto ciò che l'ha preceduta e per questo l'effetto comico che produce è tanto più forte e convincente.

I suoi personaggi sono i nostri vicini di casa, le nostre cugine e le nostre amiche, i nostri mariti e le nostre mogli, noi stessi; le loro vite sono quelle che viviamo noi; le loro svolte, a volte assurde e teatrali come può esserlo la vita, sono quelle che potremmo avere anche noi se perseguissimo la felicità con la stessa determinazione e leggera incoscienza con la quale la perseguono loro.

E poi mi piace l'atmosfera squisitamente femminile che si respira nei suoi romanzi. E quando dico femminile non dico leziosa, dico proprio femminile.

Il modo in cui la Bertola riesce a dare vita all'infinita selva delle donne nei suoi romanzi (che sono sempre corali) ha per me del paranormale: io ho riconosciuto almeno una mezza dozzina di amiche nelle protagoniste di questo romanzo, tanto precise e puntuali e vere sono le personalità, le piccole infinite manie, le idiosincrasie, i punti deboli e quelli di forza che la Bertola attribuisce ad ognuna di loro.

E con quale sguardo affettuoso e ironico, poi, le abbraccia tutte insieme; con quale bonario umorismo ne costruisce, pagina dopo pagina, il volto e la storia.

Solo una donna che si conosce e che conosce a fondo le altre donne e comprende e sa con leggerezza accettare le mille imperfezioni e fragilità di una donna e dunque, in primis, le proprie, può, per esempio, scrivere una cosa del genere:

Sulla tavola rotonda al centro della cucina di Emilia campeggiavano biscotti, marmellata, dei pretzel, un avanzo di olive, del cioccolato dell'uovo di Pasqua, latte, una teiera di Darjeeling, burro, qualche carota, due finocchi a pezzi, pane, un avanzo di uova ripiene, acciughe in scatola, toma di Biella e mezzo cacciatorino anziano: una normale cena femminile.


Stefania Bertola, La soavissima discordia dell'amore, Tea 2011. 

sabato 7 gennaio 2012

Un altro sguardo: Tiziana Rinaldi

Avere un piccolo negozio on line significa anche, tra le tante cose, entrare in una vasta e multiforme comunità di persone che in rete mostrano e offrono i prodotti della loro creatività.

All'inizio il contatto con questo mondo può disorientare: ci si trova in una galassia immensa e apparentemente sconfinata, con milioni di abitanti.

L'enorme quantità degli stimoli offerti dà alla testa: si possono passare ore e ore in rete, vagando di rimando in rimando, di link in link, ipnotizzati, giungendo quasi alla nausea o alla paralisi: l'eccesso di offerta e varietà può anche avere questi effetti - almeno li ha, di sicuro, su di me.

Col tempo però, magari dopo una pausa di riflessione, si ricomincia a navigare in quella galassia con più calma, con maggiore discernimento, cercando di non farlo in modo bulimico, indiscriminato, superficiale, accumulatorio.

Col tempo, diventa sempre più facile capire quando ci si trova di fronte anime affini alla propria, stimoli di cui si ha bisogno, finestre dalle quali ci si può affacciare per guardare ad altre realtà, o alla nostra, ma con uno sguardo diverso, e si comincia a sentire quanto sia bello essere parte attiva (anche se una piccola, piccolissima parte) di quella grande galassia.

Nasce allora la voglia di conoscere meglio queste anime affini, di parlare con loro, di sapere dove e come lavorano, di invitarle a parlare di sé e soprattutto della loro passione: i racconti che ne escono sono sempre coinvolgenti, interessanti e - almeno per me - di grande ispirazione.

Comincia oggi dunque un'altra rubrica di interviste e la prima non poteva che essere quella a Tiziana Rinaldi: perché in questa galassia quello con lei è stato uno dei miei primi fortunati incontri; perché è anche e soprattutto un'amica, prima che una delle mie artiste predilette; perché nel suo blog è continua fonte di ispirazione, poesia, bellezza e divertita leggerezza; perché è sempre generosa di consigli, incoraggiamenti e stimoli (non ultimo, come molti di voi avranno capito, quello a inaugurare questa rubrica che ricorda e vuole essere un omaggio al suo "Perché a me piace..."); perché, molto semplicemente, è Tiziana.


Dicci qualcosa di te e che cosa fai
Mi chiamo Tiziana, sono pittrice e illustratrice... e sono terribilmente impacciata parlando di me. E allora facciamo così, che mi appoggerò alle tue domande per provare a descrivermi.
Da dove trai ispirazione?
Non c’è qualcosa che mi ispiri in modo particolare, allo stesso tempo tutto mi può ispirare. In effetti, se ci pensiamo, è un fatto misterioso ma vero, che ovunque e in qualunque situazione può accendersi la scintilla che dà energia alla creatività. E dunque: un evento naturale, una vecchia foto, una canzone, una poesia, una frase letta, un’immagine, una persona - specie se ne osservo i dettagli, i silenzi-, brandelli di conversazioni - a volte anche una sola parola captata per caso -, le forme di vuoto che stanno tra le cose... tutto può essere di grande ispirazione se avviene la giusta sinergia, se ciò che abbiamo visto/ascoltato risuona da qualche parte in noi. Al contrario, la cosa più bella ed entusiasmante può non dirmi assolutamente nulla, se non sono ricettiva. Aperta. Disponibile a farmi raggiungere. 
Quando hai capito di aver trovato il tuo personale percorso creativo?
L’ho trovato? Non saprei :) 
Credo sia una di quelle cose che capitano, ma delle quali non siamo completamente consci. Almeno, per me è così, e dunque tuttora non penso di aver trovato il mio percorso creativo personale. C’è quello che faccio adesso, e questo mi piace. Ma, penso, immagino - perché è sempre successo - che cambierò ancora, e dunque cambierà il mio percorso. 
Quali sono state (se ce ne sono state) le difficoltà che hai dovuto affrontare all'inizio? E come hai fatto a superarle?
La mia è una storia particolare. Per un lungo periodo della mia vita ho fatto altro, tutt’altro. Avevo trovato un lavoro, quello che si definisce un buon, anzi ottimo, lavoro come impiegata. Questo mi aveva fatto dapprima relegare in momenti da hobbista, poi quasi completamente abbandonare, le mie aspirazioni più intime, legate all’arte. Le mie difficoltà sono state dunque principalmente dovute al fatto di riconoscere che ero profondamente infelice, in quel lavoro. Mi sentivo prigioniera di una gabbia dorata, dalla quale non credevo di avere i mezzi per fuggire. Ho dovuto cercarli quei mezzi, trovarli, con forza, con tenacia. In alcuni momenti lottando anche contro chi pensava la mia fosse una scelta da folle (e io posso capirli, quei pensieri; ma quando una voce ti chiama forte e chiara, per quanto tempo puoi fingere di non sentirla? e quale sarà il prezzo che poi dovrai pagare per non averla ascoltata?).

Hai mai dei blocchi creativi? E se sì, che cosa fai?
Uh, sì, certamente che li ho. Quando accade vuol dire che sono stata ingorda di informazioni. Mi sono riempita di scorie, guardando troppo, ascoltando troppo, ma soprattutto rimanendo troppo attaccata a internet a osservare immagini su immagini, video su video, e/o leggendo tutto quello che capita di leggere e osservare in rete  - a volte anche contro la mia stessa volontà. Quando è così, perdo il filo con me stessa. Mi spengo. Da ciò si forma il blocco creativo. Per superarlo devo digiunare. Spegnere il computer, smettere di sfogliare tutto quello che mi capita sottomano, smettere di guardare la pur pochissima televisione che vedo e dedicarmi a qualcosa per il quale non occorra pensare. Una lunga passeggiata in un contesto naturale - perché al contrario di ciò che nasce dall’uomo ciò che nasce dalla natura non è mai troppo. La pulizia a fondo di una stanza della mia casa. La cura dei fiori. Fondamentale è ritrovare il silenzio, esteriore e interiore. In questo modo, dopo un po’, riaffiora la mia voce. Riesco a riascoltarmi, e il blocco è superato. 

C'è stata una persona che in qualche modo ti ha fatto da guida, o da modello, o ti è stata di ispirazione?
Come ti dicevo più su sull’ispirazione in generale, anche in questo caso chiunque può essere, ed è stato, di ispirazione. Mi sono di grande ispirazione gli sconosciuti che incontro, per esempio. Su loro costruisco grandi storie interiori (ma penso sia pratica molto comune). Ovviamente, mi sono di grandissima ispirazione quelli che chiamo i miei personali maestri (del tutto inconsapevoli): una manciata di persone sparse tra vita reale e vita culturale, che continuano ad ispirarmi nello spazio e nel tempo, con le loro parole, il loro esempio, le loro scelte. 

In genere come lavori? Come si sviluppa per te il processo creativo? Segui particolari procedure, usi particolari tecniche, hai piccoli riti?
È difficile rispondere a questa domanda... Sai che non saprei, esattamente? Mi rendo conto, ogni volta che mi soffermo a pensare al mio modo di agire in tutti i campi, e dunque anche quello artistico, che molto, forse troppo spazio, è lasciato al caso. Al mistero. O all’inconscio, come vogliamo chiamarlo. 
Non ho particolari riti, se non quello di pulire alla perfezione il mio spazio lavorativo prima di iniziare un nuovo lavoro: deve sparire ogni traccia del lavoro precedente. Dopodiché mi metto lì e aspetto. A volte scarabocchio su qualche foglio, scrivo qualche frase, vado a rivedere vecchi  schizzi che raccolgo in una cartellina, e, in pochi minuti, o in diversi giorni a seconda dei casi, si chiarisce, si illumina, dentro di me, cosa voglio fare e come. 
Il processo è generalmente più lungo se devo creare qualcosa con un senso di aspettativa, ovvero se ho una commissione, che sia di dipinto o di illustrazioni. In quel caso ho dei canoni precisi, delle richieste cui aderire; questo comporta, in un certo senso, meno libertà, e dunque più impegno nel cercare di dire ciò che io voglio dire, all’interno della storia di qualcun altro.
Se invece si tratta di fare qualcosa su mia sola ispirazione il processo è solitamente più breve; a volte si tratta poi di pura sperimentazione, che non richiede dunque molto pensiero, ma principalmente gesto istintivo.

Puoi descrivere brevemente il luogo in cui lavori?
Vivendo in una casa molto piccola, il luogo dove lavoro è una sorta di studio in miniatura. Dove però c’è tutto quello che mi interessa: un tavolo solido e vissuto, una libreria con a portata di mano tutti i libri e i manuali cari, una bacheca per i colori, decine di barattoli per i pennelli, scatole e scatoline per matite, forbici e altri attrezzi del mestiere, tutte le mie carte - sulle quali disegnare o tra le quali scegliere per ritagliare - qualche oggetto caro, ritagli di immagini prese dai miei vecchi quadri, alcune piante, qualche elemento naturale come piccoli sassi, piume, frammenti di corteccia, bacche. 

Come promuovi il tuo lavoro? Hai qualche consiglio in merito?
Uso principalmente la rete: il mio sito, il blog, e da poco tempo i cosiddetti social network. 
Sono conscia che si possa fare molto di più, a partire anche proprio dall’ambito locale, il luogo in cui viviamo. Ma un po’ la pigrizia, un po’ una certa timidezza nell’espormi, non faccio moltissimo in questo senso. Dunque un consiglio che do (e dovrei darlo principalmente a me stessa) è, molto banalmente, quello di creare dei bellissimi bigliettini da visita, e con grande naturalezza, distribuirli ovunque, a chiunque. (Fra l’altro non si tratta neanche di un consiglio mio, ma che ho appreso da Kelly Rae Roberts: una vera maestra nel campo della promozione del proprio biz artistico - definizione tipicamente americana, dell’attività artistico/artigianale quando da hobby, diventa, seppure a piccoli passi e timidamente, lavoro).

Un progetto nel cassetto?
Non mi dispiacerebbe, avendo lo spazio necessario, provare a sperimentare la scultura, o la modellazione. Ho diverse bizzarre figurette che da tempo mi girano attorno e che vorrebbero prendere forma tridimensionale...  

Un sogno?
Il mio sogno è lo spazio. Avere molto più spazio. Un grande studio luminoso. Magari da trasformare in un atelier aperto al pubblico, dove poter finalmente incontrare le persone interessate al mio lavoro, potendole accogliere in un luogo sereno, dove chiacchierare con calma sorseggiando un buon tè.
E poi...
Te, oggi, in 3 aggettivi
Curiosa, solitaria, camminatrice

Te, bambina, in un ricordo o un'immagine
Ero una scimmietta curiosa e acrobatica. Quando non ero intenta a farmi - bonariamente, e per interesse sincero - i fatti altrui - ma anche i fatti di un orologio e i suoi meccanismi, per dire - potevi trovarmi a dondolare appesa a testa in giù dal ramo più alto di un albero.  

Il dono di natura che vorresti avere
Quando vedo le étoiles dei più grandi corpi di ballo, mi dico: eh, però... (con un sospiro lieve).

Forse non tutti sanno che... (qualche cosa di curioso, o di buffo, su di te)
Sono fondamentalmente timida, molto timida. Come tutti i timidi, in situazioni per me imbarazzanti, tipo quando mi trovo a parlare tra molte persone, inizio a farlo a vanvera disquisendo su questo o quello contro la mia stessa volontà! Potreste in quel momento strapparmi qualsiasi promessa, o carpirmi segreti di stato (che per fortuna non ho). Terribile. Al solo pensiero rabbrividisco. Per salvarmi l’unica cosa è evitare di raggrupparmi con troppe persone per volta.

Sul tuo tavolo di lavoro...
A costo di sfatare il fascino degli artisti caotici e disordinati, il mio tavolo è, per una mia forte esigenza, piuttosto sgombro e in ordine. Solo l’essenziale per lavorare e qualche piccolo oggetto bello e propiziatorio, che cambia di volta in volta. In questo momento ci sono tre bellissimi origami dono della mia amica Junko.

Sul tuo comodino...
Una boccetta di olio essenziale (cambia spesso, in questi giorni è lavanda), due taccuini per le annotazioni notturne, libri (del momento, che non riesco a lasciare, che voglio avere sempre sotto mano), la cartolina di un mio quadro, un talismano da sogni. 
(questo sopra, perché poi... il mio comodino ha molti piccoli cassetti... :))

Nella tua borsa...
Non molte cose. Non sono quel tipo di persona che si porta dietro la casa negli spostamenti. Direi che il bagaglio leggero mi si confà di più. Il taccuino e la macchina fotografica (fotografare e annotare sono le mie principali manie) sono gli unici oggetti - in più - che non mancano mai.
Però, se porto via poche cose da casa, ne raccolgo spesso per strada. E dunque è possibile che nella mia borsa ci siano: una foglia, un guscio di conchiglia, un sasso levigato, un piccolo ramo.

Dalla tua finestra...
Un giardino piccolo, ma lussureggiante, misterioso, boscoso, che cambia continuamente nel corso del giorno, nel corso dell’anno.

Prima di spegnere la luce...
Mi guardo attorno. Come per non dimenticare le forme che ho attorno nel buio.

Il tuo motto (se ne hai uno)
In realtà non ho un motto prediletto, né mio né di altri. 
Se una frase mi colpisce - o mi torna in mente - posso adottarla per un po', passando amabilmente da Woody Allen a Dante.
Giorni fa mi è tornata in mente questa, che per l'occasione ti lascio con un grazie, e un saluto ai tuoi lettori: la bellezza salverà il mondo.

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Ecco dove potete trovare Tiziana:

e presto, se si deciderà (e noi tutti speriamo che si decida!), anche su Etsy (vero, Tiziana?)


A presto!

lunedì 2 gennaio 2012

Di misteri imperscrutabili, di caldaie capricciose e di una zuppa al curry

Eccoci qui. 
Questo famoso 2012, preceduto da molte e pittoresche leggende, è arrivato e, almeno in questa casa, non si è presentato nel migliore dei modi.
Il suo biglietto da visita è stato una caldaia in tilt, con tutti i corollari del caso: acqua fredda e termosifoni spenti.

Ora, io e la Spia qualche buona qualità l'abbiamo di sicuro, ma tra i nostri pregi non annoveriamo certo un'intelligenza tecnica, per così dire: metteteci tra le mani un manuale di istruzioni di qualunque aggeggio (dal televisore all'aspirapolvere, dal cellulare al bollitore) e tutta la nostra familiarità con le parole svanisce. 
Non capiamo che una frase su 4 e la cosa ci innervosisce terribilmente.

Comunque, dopo una giornata trascorsa a imbestialirci cercando di comprendere l'astrusissimo manuale delle istruzioni della caldaia, a temere una serata gelida e una notte marmata e a coprirci progressivamente sempre di più, quasi all'ora di cena, come se niente fosse, proprio quando, con indosso due maglioni, sciarpa e berretti ci eravamo rassegnati alla nostra condizione di impotenza e ignoranza, la caldaia ci ha graziati e ha ricominciato a fare quel che deve fare, misteriosamente così come aveva smesso.

Io e la Spia, davanti a quel quadro comandi di nuovo funzionante, avevamo di certo la stessa espressione attonita, riconoscente, incredula e reverente che deve aver avuto il contadino egizio del 3000 a.C. davanti alla piena del Nilo, ogni anno attesa, sperata, necessaria, vitale, ma mai sicura.

Se dunque da questo simpatico aneddoto si può trarre una qualche morale, è forse questa: accettare umilmente la propria impotenza (non si può esser capaci di tutto), mai disperare e soprattutto confidare nella bontà altrui (delle persone, della natura, dell'universo, di Dio, di una caldaia; mettetela come vi pare).

Comunque, va bene confidare, ma è sempre meglio fare quel che è nelle proprie possibilità. 
E dunque, in previsione di una serata gelida, avevo preparato un'ottima zuppa dagli effetti riscaldanti.
Una zuppa insolita che mi è piaciuta subito moltissimo e che vi passo fiduciosa: è leggera, decisamente ipocalorica, ma al tempo stesso sostanziosa, nutriente, soprattutto se servita con del buon pane tostato.

Io, che non ho mai amato le zuppe (le "sbrode", come le chiama con una punta di disprezzo l'amata suocera, ché anche lei, come me, preferisce cibi più sostanziosi e nei quali affondare i denti, piuttosto che pietanze liquide da sorbire con il cucchiaio), sono stata recentemente presa da grande curiosità esplorativa nei loro confronti e ho deciso che ne voglio provare di nuove. 
Aspettatevi dunque una serie di sbrode varie e variopinte.

Cominciamo con questa, presa dal ricettario Cranks (la famosa catena anglosassone di ristoranti vegetariani), regalo di una mia vicina di casa di tanti anni fa, una signora inglese che più inglese di così non si poteva, nota per i suoi pranzi a base di verdure bollite "beyond recognition", direbbe la cara Nigellona, cioè talmente bollite da diventare irriconoscibili e suscitare in chiunque si trovasse al loro cospetto sentimenti di grande avvilimento e costernazione. 
Speriamo che in questi anni Lesley abbia imparato (almeno un po') a cucinare.

Una parola sul nome della zuppa, Mulligatawny
Reminiscenze varie e una breve ricerca in rete mi hanno consentito di capire che questa zuppa è simile alla Mulligatawny soup come io posso essere simile a un coreano, cioè quasi per nulla.
La Mulligatawny è infatti una zuppa anglo-indiana, ovviamente speziata, in genere a base di carne di pollo o di agnello (ma non necessariamente), spesso arricchita di riso, di cui si conoscono infinite varianti.

Perché su questo ricettario abbiano chiamato così questa zuppa è un mistero. 
Un altro di fronte al quale taccio, un po' come di fronte ai comportamenti imperscrutabili della caldaia. 
Tout se tient, come vedete.

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Mulligatawny soup (insomma; ci siamo capiti, comunque) da The Cranks Recipe Book, leggermente modificata

per 4 persone (o una Spia e una Papera bisognosi di sbrode calde e corroboranti)

1 carota
1 cipolla
1 patata
1 mela (se possibile asprigna; io ho usato una Steinem)
1 cucchiaio d'olio
1 spicchio d'aglio, schiacciato
1 cucchiaino di curry (nella versione originale 1 cucchiaio; per me è un po' troppo, ma fate voi)
300 ml di passato di pomodoro
circa 700-800 ml di brodo vegetale

Mi piacciono le minestre semplici da preparare, che praticamente si fanno da sole e questa, come tutte quelle del ricettario Cranks, lo è.

Tagliate a pezzi la cipolla, la carota, la mela e la patata.
Mettetele nella pentola con il cucchiaio d'olio e fate cuocere fino a quando la cipolla comincia ad ammorbidirsi e a diventare trasparente.

A quel punto aggiungete lo spicchio d'aglio schiacciato e il cucchiaino di curry e cuocete, mescolando, per circa 2'.

Unite poi gli ingredienti liquidi: passato di pomodoro e brodo vegetale.

Portate a bollore, abbassate il fuoco, coprite e lasciate cuocere per circa 30'.

Fate raffreddare un poco, poi usate il frullatore ad immersione.

Riscaldate ancora se pensate si sia freddata troppo, aggiustate di sale (se il caso) e servite.

Enjoy!