mercoledì 29 febbraio 2012

Blogroll: Senza dedica

Nomen omen, così dicevano gli antichi.
Mai espressione fu più adatta per descrivere, in due parole, l'ospite di oggi, l'autrice di un blog a me carissimo, Senza dedica.

Chi abbia avuto la fortuna di imbattersi in carne ed ossa in Grazia (Zia Grazia nella sua versione aNobiiana - una zia formato tascabile, è minuta e piccina come un elfo), non potrà non essere d'accordo con me: se il nome che ci è stato dato deve esprimere la nostra più intima essenza, allora il suo è perfetto.

Di Grazia colpisce subito... la grazia, appunto, il suo incedere lieve e leggiadro nella vita, il suo entusiasmo bambino, la sua pacata ironia, la sua capacità di scorgere negli altri il meglio e di evocarlo, la sua vena malinconica sottile e mai compiaciuta di sé, la sua indubbia vocazione, il suo talento - direi - per l'amicizia.

Col tempo, leggendo il suo blog, sono arrivata però a farmi un'altra idea: che se Grazia è il nome perfetto per lei, il suo secondo nome dovrebbe essere Sheherazade.

Provate a leggere uno qualsiasi dei suoi post, uno di quelli in cui da un quadro ricostruisce una storia, una vita, un momento storico, una città, un personaggio e capirete perfettamente che cosa intendo dire.

Si leggono i suoi post e ci si trova per una decina di minuti trasportati in altri mondi, nel medioevo fiammingo o nella Bruxelles magrittiana; nella jungla notturna del Doganiere o nei mari del sud con Gauguin, gli occhi spalancati su mondi misteriosi, complessi, affascinanti, grotteschi, grondanti malinconia o intrisi di disperazione: un caleidoscopio magico che ipnotizza e seduce. 

E accanto a noi, lei, leggera come Campanellino, con la sua voce trillante e argentina e gli occhi ridenti dietro gli occhiali, investigatrice dell'immagine, affabulatrice ammaliante, pronta ad indicarci lì la posizione di una mano, là la piega di una bocca, più in là, ancora, il ricamo di una blusa e soprattutto ad abbracciare e a comprendere tutto e il contrario di tutto con l'arma irresistibile dell'ironia.

Signore e signori, chapeau.

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Una definizione del tuo blog:
Un cassetto, da dove può uscire di tutto.

Perché hai cominciato a scriverlo:
Ho cominciato come si comincia a scrivere un diario, per la necessità di fissare i ricordi e per paura che svaniscano.

Quali sono stati i primi blog che hai letto:
Il tuo quando ho cominciato a frequentare Anobii e l'ho trovato come link nella tua libreria. E mi è piaciuto tanto come modo di comunicare e condividere. Poi c'è stato Scarabooks, il blog di due miei amici che mi hanno invitato a collaborare con loro: è là che mi sono scoperta "blogger"(si fa per dire). E poi, piano piano, ho trovato gli altri: un mondo di pensieri e di amici.

Un bel ricordo della tua vita da abitante della blogsfera:
Il primo commento, quando mi sono resa conto che qualcuno mi leggeva. Un'emozione enorme che si ripete tuttora. E poi quando le amicizie nate dal blog sono diventare vere e reali.

Te, oggi, in tre aggettivi:
Oggi ? Allegra, serena, pigra.

Te bambina in un ricordo o un'immagine:
In una foto con le mie sorelle da bambine, in Toscana: tutt' e tre con i nostri vestitini migliori e con gli occhiali da sole appoggiate al cancello del giardino. La porto sempre con me.

Il momento più felice della tua vita:
Oh mamma mia ! Non so. Non vorrei essere retorica, ma quello che mi viene a mente è quando sono uscita dall'ospedale, certa di essere guarita. Era aprile, pioveva e io continuavo a pensare: "Ce l'ho fatta!" “Ce l’ho fatta”.
 
Il regalo più bello che hai ricevuto:
Uno wok, il padellone cinese, pesantissimo in ghisa che Thomas mi ha portato, trascinandoselo per tutta Europa, la prima volta che è venuto da me in Italia. Quando l'ho guardato stupefatta mi ha detto "Spero che tu non ce l'abbia". E, in effetti, non ce l'avevo. Tuttora troneggia ancora intonso (se si può dire intonso per un padellone) come una specie di totem augurale, sul frigorifero nella cucina di Bologna.

Il dono o il talento naturale che vorresti avere:
Saper cantare e ballare.

Una persona che in qualche modo ti ha formato:
Il mio professore di lettere alle scuole medie. Ci ha insegnato il piacere della lettura e il gusto dell'ironia.

Libro dell'isola deserta:
E me lo chiedi? "Guerra e Pace" di Tolstoj e , finché durano le batterie, l'Ipad con tutto il resto della libreria.

Canzone preferita:
Tante. Una per tutte: "Vieni via con me " di Paolo Conte.

Film culto:
Tanti. Due per tutti: "I quattrocento colpi" di Truffaut e "Amarcord" di Fellini.
 
Un profumo:
Ô de Lancôme, ça va sans dire.

Un oggetto:
Non saprei, in questo momento la radio, forse.

L'ultima cena del condannato:
Temo che non avrei appetito. Se proprio insistono: pane con sale e olio, la fettunta alla toscana.

Neanche con una pistola alle tempia mangeresti...
Aragoste, ostriche o tutto quello che sa troppo di mare.

Nessuno può resisterti quando in cucina...
...NON cucino: sono una pessima cuoca.

Nel tuo frigorifero non manca mai...
Insalata e scatolette Simmenthal (quando sono da sola).

Momento del giorno prediletto:
La sera.

Un bel modo di morire:
Non ne esistono, ma, se fosse possibile, senza paura.

Quando sei sovrappensiero ( gesti, tic..):
Non lo so. Di notte digrigno i denti (mi si dice).

Dalla tua finestra:
Una stradina tranquilla di un quartiere periferico di Bruxelles, la terrazza della casa di fronte.

Sulla tua scrivania:
In ufficio un ordine esagerato: sono maniaca della cancelleria e dei classificatori . A casa scrivo sul tavolo di cucina.
 
Sul tuo comodino:
La sveglia, l’orologio, le statine e l'Ipad. I libri li tengo in un cestone a terra.

Nella tua borsa:
Di tutto, non faccio altro che cercare le chiavi e gli occhiali.

L'angolo della casa che ami di più:
Il tavolo di cucina.

Il viaggio dei tuoi sogni:
Tanti, tutti quelli che non ho ancora fatto.

Da grande avresti fatto (ovvero sia: il lavoro che volevi fare da bambina):
Dicevo sempre che volevo fare la mamma. Non è andata così.

Da grande farai (ovvero sia: il lavoro che vorresti fare oggi, indipendentemente da considerazioni pratiche, realistiche ed economiche):
Mi piacerebbe continuare a fare quello che faccio ora: alternare due vite, il lavoro e la casalinghitudine, la vita di coppia e la solitudine, l'Italia e il Belgio. Spero che duri.

Il tuo motto (se ne hai uno):
"Nessuno ci toglierà quello che abbiamo ballato".

sabato 25 febbraio 2012

Di interrogativi notturni, di amici di casa e di un'altra zuppa (con carote e mele)

Qualche giorno fa mi chiedevo che piega stia prendendo questo blog: a guardare i post pubblicati negli ultimi tempi, non ho fatto che parlare di altri blog, ogni tanto di qualche libro e poi solo di sbrode (per esempio qui, qui e qui).

Non avrei mai immaginato di poter dedicare tanti post a delle minestre (o zuppe, o vellutate? Qualcuno sa per caso quale sia il termine più adatto? Si può definire vellutata qualunque minestra venga poi passata finemente al minipimer? Ci credete se vi dico che questo è il genere di interrogativi con cui mi intrattengo spesso quando mi capita di svegliarmi nel cuore della notte? - e mi capita di sovente).

E mi chiedevo quanto possa essere interessante un blog in cui si trovano, per lo più, ricette tanto poco esotiche o particolari. 
Poi ho pensato che in effetti questo è ciò che mangio, più o meno tutti i giorni, e che questo blog non è mai stato concepito se non come un'onesta finestra sulla mia vita, su quelli che sono i miei interessi (la lettura, la musica, la poesia, la creazione di bigiotteria, il mondo della rete e i suoi interessantissimi abitanti) e le mie abitudini, le mie esperienze e le riflessioni che esse generano nel mio testone piumato di pennuta.

E dunque così è.
Anche oggi vi beccate un'altra sbroda, ma di quelle proprio minime - quelle cui sono più interessata negli ultimi tempi. Quelle che appartengono alla categoria "salvavita", in un certo senso, che si fanno con ingredienti che si trovano in casa quando è circa una settimana che non fate la spesa e non avete nessuna voglia di andarla a fare ma volete comunque evitare di morire di inedia.

E la cosa sorprendente, mi ripeto, è che spesso queste sbrode minimaliste sono molto buone, ma buone davvero e non generano quel sottile disagio che si sente quando che ci si accorge che si sta cucinando senza fantasia, senza gioia, ma solo perché bisogna nutrirsi, e dunque si raschia, metaforicamente parlando, il fondo del barile della propria creatività culinaria e della propria dispensa. 

Dirò di più. 
Questa sbroda in particolare può benissimo essere preparata anche per una cena con amici, come mi è capitato proprio ieri sera, senza far sentire i convitati ospiti di serie B, ma anzi, al contrario, facendoli sentire ospiti della categoria de luxe, quella che comprende, almeno per me, gli amici di casa.

L'elemento che le dà questa patente di "cibo-per-cene-con-amici" è la spolverata finale di anacardi tostati: un ingrediente che, lo ammetto, non compare nella lista dei fondamentali della dispensa, generalmente, ma nella mia c'è praticamente sempre. È vero però che poche persone sono quanto me frutta secca-dipendenti.

Come che sia, date una chance a questa sbroda. Non ve ne pentirete. 
E osatela anche per una cena con amici. 
Vi potrà capitare di sentirvi dire, come mi è capitato ieri sera: "Che buona questa minestra, proprio quello che mi ci voleva!".

Esattamente il genere di frase che scalda il cuore di qualunque padrona di casa.

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Minestra/vellutata/zuppa o quel che è (cioè una sbroda) di carote, mele e anacardi (da The Cranks Recipe Book)

per 6 persone

1 cipolla
1 patata
350-400 gr di carote
1 mela, piuttosto grossa (io ho usato quel che avevo in casa, dunque una piccola annurca e 3/4 di una Steinem - l'altro quarto se l'è rubato la Spia che passava di lì)
1-2 cucchiai di olio extravergine d'oliva (nella ricetta originale 50 gr di burro)
1 litro circa di brodo vegetale (vedi dopo)
sale e pepe
una manciata di anacardi (fate a occhio, io non li peso mai)

Pulite la cipolla e tagliatela a pezzi; mettetela con l'olio nella pentola in cui cucinerete la zuppa  e fatela appassire lentamente, magari con un po' di sale, per evitare che si attacchi.

Nel frattempo pulite e tagliate a pezzi la patata e aggiungetela alla cipolla.

Poi passate alle carote: stesso trattamento, pulite e tagliate a rondelle e poi nella pentola.

Infine aggiungete la mela, sbucciata e tagliata a dadi.

Lasciate insaporire per qualche minuto, dopo di che aggiungete il brodo vegetale, portate a bollore, abbassate il fuoco (io lo metto praticamente al minimo), coprite e lasciate sobbollire per circa 30'.

Passate poi al minipimer, aggiustando di sale e di pepe se volete (io non lo metto quasi mai) ed aggiungendo eventualmente altro brodo vegetale caldo se vi sembra che la zuppa sia troppo sostenuta.
Prima di servire, tostate a secco in un padellino gli anacardi e metteteli in un grazioso ciotolino che porterete in tavola e dal quale ognuno si servirà come e quanto crede.

Se posso esprimere il mio modesto parere, gli anacardi sono un ingrediente essenziale che non dovrebbe essere assolutamente trascurato: non mi fanno simpatia quelle ricette che prevedono le guarnizioni finali, spesso con ingredienti "leziosi"; ma qui si parla di un elemento davvero imprescindibile del gusto finale di questa zuppa, datemi retta.

Enjoy!

  

lunedì 13 febbraio 2012

Letture facoltative di Wislawa Szymborska

Un libro divertente, delizioso, traboccante intelligenza e umorismo.

Una raccolta di recensioni, semplici divagazioni e divertissements intorno al mondo dei prodotti editoriali snobbati dalla critica: manuali, testi di divulgazione popolare, biografie, monografie su argomenti più o meno astrusi; Wislawa Szymborska trova motivi di interesse e spunti di riflessione anche tra le pagine di libri apparentemente assai poco stimolanti, libri con titoli del genere:

Vie e ostacoli dell'evoluzione dei molluschi
Il bottone nella letteratura
Come nascondere quello che proviamo sul lavoro e fingere quello che dovremmo provare
Enciclopedia degli attentati
L'uomo e quelli che vengono dallo spazio
Uccelli di Polonia
Cento minuti per la propria bellezza
Quando si ammala il cane
Riparazioni e ammodernamenti in casa mia


In ognuno dei brevi saggi che compongono Letture facoltative rifulge splendido il senso dell'umorismo leggero e a tratti stralunato dall'autrice, insieme alla sua ironia quasi sempre bonaria, al suo gusto per le piccole eccentricità della vita e a un evidente, sincero, autentico amore per la lettura.

Un libro da leggere per recuperare istantaneamente il buonumore, per godersi le divertite peregrinazioni di una mente curiosa e brillante, una lettura leggera ma incredibilmente interessante e intelligente, per non dimenticare mai che, come scrive la Szymborska nell'introduzione, con un libro in mano l'uomo è libero.

Wislawa Szymborska, Letture facoltative, traduzione di Valentina Parisi, Adelphi 2006.

sabato 11 febbraio 2012

Un altro sguardo: Claudio Santambrogio

margherite, gomma bicromata (2011)
Ho riflettuto a lungo sull' eventualità di dedicare un post a Claudio Santambrogio, perché quando si tratta di parlare di qualcuno cui si è legati da vincoli di fraterna amicizia si  corre senz'altro il rischio di essere accecati dall'affetto e dalla stima e di perdere l'obiettività.

Pure, nel caso di Claudio, questo rischio non si corre: è così evidente che si tratta di una persona speciale e l'evidenza si impone subito, non appena lo si conosce.

A me pare che quel che di speciale c'è in lui sia soprattutto la sua capacità di nutrire ed esprimere una sensibilità unica e "diversa", che segue percorsi spesso eccentrici, poco frequentati e raffinatissimi, senza mai, mai, mai perdere il gusto, il piacere dello scambio autentico e profondo con gli altri, una curiosità e un interesse realmente affettuosi per loro, non importa quanto lontani possano sembrare o essere da lui.

Se qualcuno mi chiedesse a bruciapelo una definizione di "artista", direi che per me è un artista proprio chi riesce a contattare, vedere, ascoltare il mondo, anzi i mondi, quello visibile e quello invisibile; chi riesce a elaborarne un'interpretazione insieme personalissima e universale e ad esprimerla con i mezzi più adatti ad esprimerla; ma soprattutto chi, facendo tutto questo, riesce a rimanere nel mondo e vicino agli altri, senza sentirsene distante, senza sentirsene lontano, ma anzi, con una raddoppiata capacità di ascoltare, di contattare, di unire, di condividere.


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birnbäumchen, stampa all'albumina virata all'oro e al platino (2009-2011)
 
Dicci qualcosa di te e che cosa fai
È sempre difficile parlare di se stessi... Sono musicista, fotografo, informatico, guida artica...

Da dove trai ispirazione?
Sono maturato, artisticamente parlando, come musicista, e la musica è sempre stata la mia "guida". Se nella musica il silenzio è una pausa che articola il suono, nelle mie fotografie i "silenziosi" oggetti e spazi vogliono essere pause che strutturano lo scorrere del tempo. Roland Barthes scrive: "la fotografia deve essere silenziosa: non è una questione di discrezione, ma di musica".
Ma ancora prima, e al di sopra di tutto, viene la creatività come dimensione esistenziale. Non riesco a stare fermo, dipingo, assemblo sculture, disegno i mobili di casa, costruisco burattini e boîtes à musique... Vivo questa dimensione creativa come il mio processo di elaborazione della cultura di cui mi nutro: le arti visive, la musica, la letteratura, la storia del pensiero, dei costumi, dei gesti...

Quando hai capito di aver trovato il tuo personale percorso creativo?
Fai sembrare il percorso creativo qualcosa che si raggiunge, come un traguardo... è invece la strada, il "percorso", appunto. Sono sempre stato creativo, lo ero già da bambino. Ogni volta che si usciva con i miei genitori per andare al ristorante, portavo con me un blocco da disegno e riempivo i tempi di attesa disegnando. Sono stati il disegno e il teatro (di marionette e di burattini) i miei primi incontri con l'arte. La musica è arrivata solo molto più tardi, ma è stata poi la disciplina che ho studiato. Il ritorno all'immagine è stato graduale, ma l'ho sempre sentito molto "naturale"- un "ritorno, appunto...

Quali sono state (se ce ne sono state) le difficoltà che hai dovuto affrontare all'inizio? E come hai fatto a superarle?
Difficoltà ce ne sono ad ogni passo... Tralasciando quelle di ordine pratico, la difficoltà maggiore riguarda l'"identità". Chi sono, dove mi trovo in questo mondo? Come mi relaziono al mondo, e agli altri? Superare questa difficoltà è l'atto creativo stesso...

nord, stampa all'albumina (2009-2011)

Hai mai dei blocchi creativi? E se sì, che cosa fai? 
E chi non ha blocchi creativi? La cosa migliore è non perdersi d'animo e non perdere la pazienza! Ogni cosa al suo momento. Ogni blocco creativo ha una sua ragione, e bisogna capirne le radici.Questo viaggio dentro se stessi poi spesso porta a sbloccare le energie creative quasi senza che uno se ne accorga...

C'è stata una persona che in qualche modo ti ha fatto da guida, o da modello, o ti è stata di ispirazione?
Ho imparato molto da tante persone a me più o meno vicine, ma d'ispirazione sono, da sempre, due maestri della storia della fotografia, Edward Steichen e Josef Sudek: del primo la vibrante intensità delle stampe del primo periodo, del secondo la musicalità, la delicata poesia delle sue nature morte.

In genere come lavori? Come si sviluppa per te il processo creativo? Segui particolari procedure, usi particolari tecniche, hai piccoli riti?
Il lavoro fotografico è per me, per quanto contraddittorio possa sembrare, un processo introspettivo. È un processo lento, ho bisogno di tempo sufficiente per relazionarmi al soggetto. Lavoro senza fretta, quasi esclusivamente con macchine fotografiche di grande formato. Questo rallenta di molto il processo, bisogna preparare la macchina, impostarla, inquadrare, mettere a fuoco, correggere, calcolare i tempi di esposizione...  

L'esposizione poi è fatta "a mano" - uso lenti che non sono montate in otturatori, e quindi apro e chiudo la lente con la mano. Ovviamente questo comporta tempi di esposizione relativamente lunghi. Quando osserviamo un oggetto lo vediamo sempre anche nella sua dimensione temporale, e mi piace catturare questa dimensione nella fotografia. Ricordo i miei primi tentativi col grande formato: dopo accurate e lunghe preparazioni, lo "scatto" dell'esposizione della durata di una frazione di secondo, era il momento più deludente, il vero anticlimax. Anche l'esposizione ha bisogno, nel mio approccio lavorativo, di tempi umanamente sensibili... Il soggetto ha bisogno di tempo per "manifestarsi" nella fotografia.
L'aspetto manuale mi interessa nel corso dell'intero processo: non solo nell'esposizione del negativo, ma anche nella fabbricazione della stampa fotografica. Raramente uso, infatti, tecniche di stampa "normali". Per lo più utilizzo tecniche di stampa cosiddette alternative: processi di stampa "di altri tempi", degli esordi della storia della fotografia. Lavoro con stampe all'albumina, stampe alla gomma, stampe al platino e gomma su platino. La carta fotosensibile per queste stampe viene preparata manualmente. Questo è un processo lento, che lascia ampio spazio anche alla riflessione, all'introspezione...
Stampo con tecniche antiche, ed eseguo musica con strumenti d'epoca. Sono entrambe attività che cercano di gettare un ponte verso qualcosa che appartiene al passato e che è svanito. Esse hanno una stretta parentela con la memoria e l'assenza. John Berger scrive che "le prime fotografie erano considerate delle meraviglie perché, in modo molto più diretto di qualsiasi altra forma di immagine visiva, presentavano l'apparenza di ciò che era assente". Una fotografia non è solo un'immagine - la seducente bellezza delle fotografie sta lentamente svanendo nel nostro mondo, sostituita dal lucido schermo. Tutto quello che è rimasto delle fotografie sono le immagini... Ma una fotografia è un'evocazione magica e il suo valore artistico unito alla qualità materiale della stampa, contribuiscono in eguale misura alla trasformazione del soggetto in qualcosa che va al di là dello stesso. I laboriosi processi di stampa dei primi anni della storia della fotografia sono parte dell'alchimia dell'evocazione di memorie svanite, della magia di presentare "l'apparenza di ciò che era assente".


harper, stampa al platino (2011-2012)

Puoi descrivere brevemente il luogo in cui lavori?
Lavorando con tecniche di stampa alternative sensibili solo ai raggi UV, la mia camera oscura di fatto non è, come ci si aspetterebbe, oscura! Si lavora con normale luce di deboli lampadine. Questo aspetto molto piacevole del lavoro, si unisce al fatto che per i tempi di esposizione (tra i 30 secondi e i 10 minuti), esco al sole! Non uso, infatti, banchi di lampade UV.

Come promuovi il tuo lavoro? Hai qualche consiglio in merito?
La promozione del mio lavoro, devo ammettere, mi interessa meno - fotografo, faccio musica, creo, per passione. Lo faccio primariamente per me stesso in quanto artista. Un corpus artistico cresce poco alla volta, e così vengono anche a crearsi, quando è il momento giusto, le giuste opportunità. Bisogna solo saper aspettare - e poi riconoscere il momento giusto. Non voglio però, dicendo questo, dare l'impressione che non mi occupi della promozione dei miei lavori - incontri personali, visite alle gallerie, internet sono tutti canali di promozione.

Un progetto nel cassetto?

Ma certo! Ce ne sono tanti - non riesco a lavorare esclusivamente ad un progetto solo: ne porto avanti alcuni in parallelo, a volte all'inizio non sembrano nemmeno progetti definiti e prendono forma solo crescendo... Ma se non hanno ancora visto la luce è perché non è ancora il momento giusto... E allora non disturbiamoli, lasciamoli maturare in silenzio...

Un sogno?
Sogno di vivere in un mondo in cui la sensibilità è un valore, in cui la cultura è un tesoro rispettato, curato, fatto crescere... Un mondo governato dal rispetto per gli altri, per le diversità, governato da valori etici, dalla cultura e dall'arte - ma mi accontenterei di molto meno. Penso che sarei già soddisfatto se solo vivessimo in un mondo in cui quelli che ci governano, siano essi politici o mecenati, fossero eticamente dei modelli da rispettare, e ci "ispirassero" a prenderci cura del nostro ricco patrimonio culturale...

E poi...
Te, oggi, in 3 aggettivi: Curioso, creativo, dedicato.

giardino, stampa al platino su carta giapponese kozo (2012)

Te, bambino, in un ricordo o un'immagine:
Una delle fotografie che preferisco mi ritrae a 4 anni nel Marocco - con un panino in mano, in mezzo al deserto, di fianco allo scheletro di una capra. Con sguardo perplesso. Et in arcadia ego...

 
Il dono di natura che vorresti avere:

Vorrei esser capace di vedere e sentire il tempo...

Forse non tutti sanno che... (qualche cosa di curioso, o di buffo, su di te):
... ho una passione per i libri - non solo leggo tanto, ma mi appassionano i libri come oggetti. Illustrati, per l'infanzia, d'artista, pop-up... Non è una collezione sistematica la mia, ma una ricerca costante del libro "speciale", del libro che abbia una storia sua da raccontare - una storia dell'oggetto che è.

Sul tuo tavolo di lavoro...
... sempre una moltitudine di stampe che aspettano di essere approvate, o scartate; una pigna di negativi che aspettano di essere portati in camera oscura; torri di libri di fotografia che sfoglio come se sfogliassi un volume di poesie... Considera però che io non lavoro al tavolo di lavoro! Il tavolo di lavoro è dove mi siedo a riflettere, a pensare a come e dove muovermi. Il vero lavoro si svolge o dietro la macchina fotografica o in camera oscura.

Sul tuo comodino...
... le poesie di Montale.

Nella tua borsa...
... un libro. Les Très Riches Heures de Mrs Mole di Ronald Searle è il più recente. (Ebbene sì, sono uno di quegli uomini che usano la borsa).

Dalla tua finestra...
... un paio di palme dove, in primavera, le tortore fanno il nido.

Prima di spegnere la luce...
... mi piace leggere. Ma in realtà poi finisco spesso per andare a letto troppo tardi, e la lettura ne soffre.


Il tuo motto (se ne hai uno):
... il faut cultiver notre jardin
.


giardino, stampa al platino su carta giapponese kozo (2012)

Se volete contattare Claudio, questo è il suo sito: http://csant.info/
e questa è la sua "palestra degli esperimenti", la sua galleria su flickr: http://flickr.com/csant


mercoledì 8 febbraio 2012

Di ringraziamenti e di una minestra di piselli e di quel che c'è

Ogni tanto mi capita di trovare nella mia casella di posta elettronica messaggi di persone che evidentemente leggono il mio blog, magari saltuariamente, magari con regolarità, ma che per qualche motivo si sentono più a loro agio scrivendomi una breve mail piuttosto che lasciando un commento a qualche post.

Chiunque abbia un blog capirà quanta emozione dia trovare mail del genere, quanta gratitudine e riconoscenza si provi nei confronti di questi sconosciuti abitanti della rete che hanno trovato il tempo di scrivere proprio a noi per dirci che apprezzano ciò che scriviamo, che trovano i nostri post divertenti o che grazie a una nostra segnalazione hanno scoperto di amare alla follia la verza o Virginia Woolf (o tutte e due).

Rispondo a chiunque mi scriva che ad esser grata sono soprattutto io; nella maggior parte dei casi, si comincia a scrivere un blog - un blog come il mio, intendo, cioè un contenitore piuttosto informe in cui infilare un po' tutta la propria vita - soprattutto per avere la conferma che esistono altre persone, là fuori, che, pur con le dovute e belle differenze del caso, condividono un certo nostro modo di intendere e di vedere la realtà, che magari come noi amano il cioccolato bianco e la pasta cruda, che si commuovono quando sentono suonare le bande di paese o ridono come orchi leggendo i romanzi di Stefania Bertola.

Uno non se le dice in modo diretto queste cose, soprattutto all'inizio; le capisce col tempo.
Capisce che a spingerlo a scrivere è sempre e soprattutto il desiderio di raggiungere i propri simili e di sentirsi inserito in una bella, affettuosa comunità di individui tutti diversi tra loro ma tutti alla ricerca di connessioni, contatti, legami.

Questo post, dunque, è il mio modo di dire grazie a chiunque mi legga e commenti, a chiunque mi legga e non commenti, a chiunque mi scriva per parlarmi di sé o chiedermi di me. 
E visto che siamo in tema, vorrei ringraziare anche Barbara di Embrace tiger, return to mountain per avermi attribuito un premio: come ho detto altre volte, i premi mi lusingano ma mi imbarazzano sempre un po', dunque ringrazio e invito caldamente chi mi sta leggendo a dare un'occhiata al bello spazio che questa sensibile e talentuosa artista ha creato nel suo blog.

Anche la ricetta di oggi è, in fondo, un ringraziamento e la risposta ad una precisa richiesta; è una ricetta per modo di dire, in realtà, una minestrina di quelle che si fanno ad occhi chiusi, quando si è pigri, non si ha voglia di fare niente, si ha poco tempo, il frigo mezzo vuoto e ci si sente in procinto di avere un attacco di paturnie perché si ha paura di ingrassare.

L'idea è presa da Rachel's Favourite Food at Home di Rachel Allen, ma è davvero solo un'idea: è bello, però, sapere che con pochissimi ingredienti e un procedimento davvero elementare che non sembrerebbe preludere a un risultato particolarmente invitante si può ottenere una minestra decisamente dietetica ma dignitosissima che, alla bisogna, può trasformarsi in una vellutata di tutto rispetto, soprattutto se rinforzata con pane tostato e un'abbondante spolverata di parmigiano.

È una ricetta per Sara, che dice di essere una frana in cucina e se ne vergogna e che vorrebbe imparare a fare qualche piatto semplice a base di verdura.
Sara, se ci sei e mi leggi, sono altre le cose di cui vergognarsi, cose di cui dubito tu ti sia mai macchiata.
Prova invece a fare questa vellutata e dimmi che ne pensi.

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Vellutata di piselli e di quel che c'è

(per 3-4 persone)

500 ml di brodo vegetale + eventualmente altri 100-150 ml (vedi dopo)
1-2 scalogni, oppure 1 cipolla bionda o ancora, quando di stagione, 2-3 cipollotti
1-2 spicchi d'aglio, puliti e schiacciati col coltello
200 gr di pisellini surgelati
200 gr di spinaci freschi, lavati e tagliati a listarelle, o di insalata (di qualunque tipo, magari un po' vizza e poco presentabile ma ancora buona, anche lei lavata e tagliata a listarelle)
latte o panna (facoltativi; vedi dopo) 
sale e pepe

Mettete il brodo vegetale dentro la casseruola in cui preparete la zuppa; buttateci dentro gli scalogni tagliati a rondelle (o la cipolla tagliate a fettine, o i cipollotti, sempre tagliati a rondelle) e lo/gli spicchi d'aglio. Fate bollire per circa 5'.

Aggiungete i pisellini, riportate a bollore e fate cuocere per altri 3'-4'; unite gli spinaci (o l'insalata) e proseguite la cottura per un altro paio di minuti o fino a quando la verdura sarà decisamente appassita e morbida. A me non piace farla cuocere troppo, per questo la taglio a listarelle, per cuocerla di meno, ma è una questione di gusti personali.

Passate al minipimer e condite con sale e pepe: se la consistenza vi sembrasse troppo sostenuta potete aggiungere altro brodo vegetale caldo, eventualmente "tagliato" con un po' di latte, oppure soltanto della panna liquida, se vi pare che questa minestra sia troppo calvinista.

Qualunque cosa scegliate - brodo, latte o panna - dopo averla aggiunta assaggiate di nuovo: magari bisognerà correggere con un cincinin di sale.
Io l'ho provata praticamente in tutte le versioni; a volte ho usato dello yogurt.

A seconda della verdura utilizzata, il colore della vellutata sarà più o meno inquietante: quella della foto è stata fatta, come si arguisce chiaramente, con spinaci; usando l'insalata si ottiene una sfumatura di verde più tenera. 
Lo dico nel caso in cui mi leggano cuochi esteti.

Enjoy!

giovedì 2 febbraio 2012

Le poesie del mercoledì (di giovedì): Nulla è in regalo - Wislawa Szymborska

Proprio ieri sera parlavo di Wislawa Szymborska: ero al telefono, con una cara amica, e le consigliavo caldamente di leggere le sue poesie, che lei non conosceva.
 

E come tutte le volte che mi capita di parlare di un autore che amo con qualcuno che non lo conosce, ho provato una piccolissima punta di invidia: è bello avere i propri affezionati numi tutelari, rivolgersi a loro con la familiarità e la gratitudine con cui ci si rivolge agli amici che rendono più ricca, più profonda, più spaziosa la nostra vita; ma ancora più bello - secondo me - è incontrarli per la prima volta, imbatterci in loro mentre avanziamo sulla nostra strada, magari guardando a terra, sovrappensiero, o con gli occhi rivolti al cielo, da dove proprio in questo istante hanno cominciato a cadere i primi soffici fiocchi di neve.

E sentire subito, o quasi subito, che abbiamo fatto un incontro importante, di quelli che sul calendario richiedono un circoletto rosso intorno al giorno in cui sono avvenuti e su una cartina geografica una doppia sottolineatura del nome della località in cui hanno avuto luogo.

È strano che proprio ieri sera, mentre nella sua casa di Cracovia Wislawa Szymborska si spegneva, la sua voce inconfondibile risuonasse limpida e forte nella mia cucina, in una conversazione affettuosa tra due amiche.

È strano, e bello: è la poesia.

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Nulla è in regalo

Nulla è in regalo, tutto è in prestito.
Sono indebitata fino al collo.
Sarò costretta a pagare per me
con me stessa,
a rendere la vita in cambio della vita.

È così che è stabilito,
il cuore va reso
e il fegato va reso
e ogni singolo dito.

È troppo tardi per impugnare il contratto.
Quanto devo
mi sarà tolto con la pelle.

Me ne vado per il mondo
tra una folla di altri debitori.
Su alcuni grava l'obbligo
di pagare le ali.
Altri dovranno, per amore o per forza,
rendere conto delle foglie.

Nella colonna Dare
ogni tessuto che è in noi.
Non un ciglio, non un peduncolo
da conservare per sempre.

L'inventario è preciso,
e a quanto pare
ci toccherà restare con niente.

Non riesco a ricordare
dove, quando e perché
ho permesso che aprissero
questo conto a mio nome. 

La protesta contro di esso
la chiamiamo anima.
E questa è l'unica voce
che manca nell'inventario.

Wislawa Szymborska (2 luglio 1923 - 1 febbraio 2012)