venerdì 21 settembre 2012

Calendario: Ivano Fossati, Genova, 21 settembre 1951

C'è tempo

Dicono che c'è un tempo per seminare
e uno che hai voglia ad aspettare
un tempo sognato che viene di notte
e un altro di giorno teso
come un lino a sventolare.

C'è un tempo negato e uno segreto

un tempo distante che è roba degli altri
un momento che era meglio partire
e quella volta che noi due era meglio parlarci.

C'è un tempo perfetto per fare silenzio

guardare il passaggio del sole d'estate
e saper raccontare ai nostri bambini quando
è l'ora muta delle fate.

C'è un giorno che ci siamo perduti

come smarrire un anello in un prato
e c'era tutto un programma futuro
che non abbiamo avverato.

È tempo che sfugge, niente paura

che prima o poi ci riprende
perché c'è tempo, c'è tempo c'è tempo, c'è tempo
per questo mare infinito di gente.

Dio, è proprio tanto che piove

e da un anno non torno
da mezz'ora sono qui arruffato
dentro una sala d'aspetto
di un tram che non viene
non essere gelosa di me
della mia vita
non essere gelosa di me
non essere mai gelosa di me.

C'è un tempo d'aspetto come dicevo

qualcosa di buono che verrà
un attimo fotografato, dipinto, segnato
e quello dopo perduto via
senza nemmeno voler sapere come sarebbe stata
la sua fotografia.

C'è un tempo bellissimo tutto sudato

una stagione ribelle
l'istante in cui scocca l'unica freccia
che arriva alla volta celeste
e trafigge le stelle
è un giorno che tutta la gente
si tende la mano
è il medesimo istante per tutti
che sarà benedetto, io credo
da molto lontano
è il tempo che è finalmente
o quando ci si capisce
un tempo in cui mi vedrai
accanto a te nuovamente
mano alla mano
che buffi saremo
se non ci avranno nemmeno
avvisato.

Dicono che c'è un tempo per seminare

e uno più lungo per aspettare
io dico che c'era un tempo sognato
che bisognava sognare.


(da Lampo viaggiatore, 2003)




giovedì 20 settembre 2012

Nigellissima di Nigella Lawson

A parte il titolo, infelice ma perfettamente in linea con il personaggio, e la copertina - con una Nigella ormai quasi del tutto immobilizzata dal botox, che sfoggia una messa in piega rigida alla Nicoletta Orsomando e, non si sa perché, è vestita un po' come la signorina Rottenmeier - quest'ultima fatica di Nigella Lawson sembra, a prima lettura, un ottimo libro di cucina, di quelli che da qualche anno non sembrava più esser capace di scrivere (direi da Feast).

Sono una fan della prima ora di Nigellona, verso la quale nutro un vero e proprio debito di riconoscenza: la lettura dei suoi primi libri mi ha aiutato a digerire un momento della mia vita particolarmente difficile e cupo e mi ha contagiato con il gioioso virus della cucina; la riproduzione delle sue ricette mi ha piano piano persuasa di non essere un'inetta completa ai fornelli, come avevo sempre creduto di essere, e ha deliziato i miei amici in decine e decine di occasioni conviviali. 

Altro non si può chiedere ad un'autrice di libri di cucina, anche se si tratta di un personaggio spesso imbarazzante, grottesco e sopra le righe (a volte perfettamente consapevole di esserlo e incline a giocarci su con ironia, cosa che un po' la redime).

Tra l'altro, l'ho scritto più volte sul blog, i libri di Nigellona sono una lettura piacevole quant'altre mai: la sua prosa riflette la sua sostanziale ambiguità, il suo perenne essere in bilico tra una sobrietà di fondo (le sue ricette sono in genere molto molto semplici, spiegate con dovizia di particolari e rigore e praticamente infallibili) e una perenne, divertita tentazione di abbandonarsi all'eccesso, al pomposo, all'estremo, al kitsch.

Sarà bene specificare che Nigellissima non è un libro di cucina italiana, ma una raccolta di ricette per lo più ispirate al gusto italiano - o all'idea che ne ha Nigella, che comunque l'Italia la conosce bene e la frequenta con assiduità - o italiane di partenza ma parzialmente rivisitate, semplificate o adattate.

Molte quelle che a prima lettura mi hanno incuriosito: per esempio le fettuccine ai funghi con mascarpone e marsala, gli spaghettini con briciole di pane all'aglio e limone, le melanzane con origano e cipolle rosse (a quanto ho capito una ricetta di origini campane), un mirabolante cheesecake alle nocciole e Nutella, una versione di ardita concezione delle patate fritte e soprattutto un budino fatto con le liquirizie Amarelli Rossano, che non vedo l'ora di provare.

Certo, ci trovate anche l'inquietante meatzza, una specie di pizza Margherita in cui la base di pasta è sostituita dall'impasto di un polpettone schiacciato come una frittella dentro una teglia da forno (ho i brividi solo a pensarci) o una sua interpretazione della Caprese, da offrire, secondo lei, al pranzo di Natale (mah...).

Ma ripeto, sono le cadute di stile (in questo libro, per altro, assai limitate) senza le quali Nigella non sarebbe Nigella e che personalmente le perdono più che volentieri.



Nigella Lawson, Nigellissima, Chatto & Windus 2012.


domenica 9 settembre 2012

Calendario: Cesare Pavese, Santo Stefano Belbo, 9 settembre 1908

Che cosa vuol dire che tra uomo e donna ci può essere qualcosa di più importante dell'amore? Vuol dire che è possibile vedere un'altra persona come si vede se stesso: consentirgli tutti i gesti e i movimenti che si consentono a se stesso, godere che li faccia come si gode a farli noi, non sentirsi privati di cosa che faccia con altri come noi non ci sentiamo privati di cosa che facciamo con altri - vuol dire amare questo nostro prossimo come noi stesso. Quest'amore si chiama carità.

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Leggendo non cerchiamo idee nuove, ma pensieri già da noi pensati, che acquistano sulla pagina un suggello di conferma. Ci colpiscono degli altri le parole che risuonano in una zona già nostra - che già viviamo - e facendola vibrare ci permettono di cogliere nuovi spunti dentro di noi.

da Il mestiere di vivere, Einaudi 1973 (annotazioni del 26 novembre 1945 e del 3 dicembre 1938).

Sunday Music: Nel mio mondo ideal da Alice nel paese delle meraviglie

Non ho mai fatto follie per i film di Walt Disney; chiaramente da bambina mi piacevano, anche se gli preferivo senz'altro quelle belle commedie hollywoodiane che tanto piacevano ai miei genitori, quelle con Cary Grant o Katherine Hepburn o James Stewart, per intenderci, e che ancora adesso, quando mi capita di trovarle in televisione (ahimé assai di rado), non posso fare a meno di guardare.

Dei film di Walt Disney mi sono sempre spiaciute, fin da bambina, certe zuccherosità tipicamente americane che già allora mi mettevano a disagio; da adulta, ho sempre trovato indigesto quel buonismo infilato a forza anche in racconti per l'infanzia che di buonista non hanno assolutamente nulla.

Però, però, però... ci sono comunque tantissime scene che ricordo ancora adesso quanto mi incantassero e deliziassero da piccola.
Per esempio, ne La bella addormentata, quella in cui le tre buone fate, Flora, Fauna e Serenella, discutono in gran segreto di come aiutare il re e la regina, e per farlo si miniaturizzano e si nascondono dentro dei mirabolanti calici e cofanetti d'oro tempestati di pietre preziose; oppure, in Cenerentola, quella in cui i topini confezionano (cantando "Ho trovato ho trovato il vestito un po' antiquato...") l'abito per il ballo che poi le odiose sorellastre faranno a pezzi; e ancora, la scena del duello di magia tra Merlino e Maga Magò ne La spada nella roccia; i primi minuti di Peter Pan, con quella magica e fatata visione di Londra notturna; quando, ne Il libro della giungla, l'orso Balù spiega la sua filosofia di vita a Mowgli cantando "Ti bastan poche briciole, lo stretto indispensabile, e i tuoi malanni puoi dimenticar..." e potrei andare avanti per ore.

L'eccezione assoluta nel panorama dei film di Walt Disney, per me, è sempre stata Alice nel paese delle meraviglie, per il quale ho sempre avuto una grandissima passione.

Posso dire di conoscerne interi spezzoni a memoria; uno dei riti affettuosi e familiari - uno dei tanti - che mi uniscono a mia sorella Sabina è proprio recitarne alcuni in coppia (siamo francamente irresistibili quando cantiamo la canzone del nonnetto di Pinco Panco e Panco Pinco, per esempio). 

Mio padre aveva comprato ai miei due fratelli maggiori un'intera collezione di dischi sui quali erano registrati fedelmente i film di Walt Disney; quello di Alice era in assoluto il più amato e dunque il più rovinato: a parte l'effetto "friggitoria" (fruscii e sfrigolii vari di fondo a disturbare l'audio), interi pezzi saltavano allegramente; ma tutti quelli che si sentivano bene li so ancora a memoria.

In uno di questi c'è questa canzone, che da bambina amavo particolarmente, perché esprime davvero, anche se con espressioni buffe e antiquate, uno dei miei più grandi sogni di sempre, quello cioè di possedere un linguaggio comune con cui comunicare con la natura, per poter capire il cinguettìo degli uccelli e il mormorìo di un ruscello, per poter chiacchierare con un fiore o un coniglio. 

Insomma, il sogno di non sentirsi mai soli.

Buona domenica a tutti!